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martedì 11 ottobre 2022

"La crisi energetica segna l'inizio della deindustrializzazione tedesca"

Secondo una recente analisi condotta da Deutsche Bank, l'attuale crisi energetica potrebbe segnare la fine del modello di sviluppo tedesco caratterizzato da energia abbondante e a basso costo e l'inzio della deindustrializzazione della prima potenza manifatturiera d'Europa. Ne scrive Business Insider


Nell'analisi dal titolo "La crisi energetica colpisce nel profondo l'industria tedesca", l'autore Eric Heymann scrive: "Quando tra una decina d'anni guarderemo indietro all'attuale crisi energetica, potremmo individuare in questo periodo storico il punto di partenza per l'accelerazione della deindustrializzazione tedesca".

La crisi del gas mette fine al modello economico tedesco

Per decenni l'accesso all'energia a basso costo è stato un fattore di successo fondamentale per l'industria tedesca. Prima il carbone nazionale, poi - fino alla crisi petrolifera - il petrolio a basso costo e infine l'allettante gas russo a basso prezzo. Energia abbondante e a basso costo, ingegneri di prima classe e lavoratori qualificati hanno reso i prodotti "Made in Germany" un successo globale. Ma questo modello commerciale tedesco sta cominciando a vacillare. L'attuale crisi del gas potrebbe rappresentare un "cambiamento strutturale per la Germania in quanto paese manifatturiero e per il modello commerciale tedesco orientato all'export", scrive Heymann.

Secondo le stime di DB Research, quest'anno la produzione industriale tedesca dovrebbe ridursi del 2,5%. L'anno prossimo la tendenza al ribasso si accelererà fino a raggiungere il cinque per cento. I cali maggiori sono previsti nelle industrie ad alta intensità energetica. Questi settori includono i prodotti chimici, i materiali da costruzione, la carta e i metalli. "Le aziende del settore hanno colto la maggior parte delle opportunità di breve termine per passare dal gas ad altre fonti energetiche o per aumentare ulteriormente l'efficienza energetica", afferma Heymann. "Altri passi hanno riguardato il ridimensionamento della produzione, la chiusura di singoli impianti e/o il trasferimento della produzione in stabilimenti all'estero".

L'entità di questa riduzione dipenderà dalla disponibilità di gas per il prossimo inverno e dall'andamento del gas e dell'elettricità. Gli economisti di Deutsche Bank si aspettano che il prezzo del gas resti elevato, e che non torni ai livelli prebellici. Con gli impianti di stoccaggio del gas in gran parte vuoti a fine inverno 2022/23 e senza il gas russo, l'UE e la Germania dovranno pagare il prezzo piu' alto rispetto agli altri Paesi importatori di gas per riempire di nuovo gli impianti di stoccaggio prima dell'inverno 2023/34".



Lo Stato non può ridurre in modo permanente i prezzi dell'energia

Il freno al prezzo del gas e dell'elettricità potrà attenuare le conseguenze negative, ma solo temporaneamente. "Lo Stato anche se volesse sovvenzionare sensibilmente i prezzi dell'energia per i clienti finali industriali, anche nel medio termine, ne uscirebbe pesantemente sovraccaricato dal punto di vista finanziario". In Germania, quindi, la quota dell'industria nella creazione di valore ne uscirebbe pesantemente ridimensionata.

La deindustrializzazione colpirebbe in maniera particolare proprio la Germania, perché in questo Paese, oltre alla quota sul totale della produzione economica, risulta essere elevata anche la quota di occupati nel settore industriale. In Germania circa 5,5 milioni di persone lavorano direttamente nel settore manifatturiero. Altri milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente da questa macchina della prosperità. L'industria, inoltre, è anche responsabile della quota maggiore di spesa delle aziende tedesche in ricerca e sviluppo.

"Pessimismo per la Germania come sede industriale".

"Siamo molto più pessimisti per la Germania in quanto paese industriale e manifatturiero che per le grandi industrie tedesche", afferma Heymann. Le grandi imprese e società potrebbero internazionalizzare ulteriormente le loro attività. Potrebbero allineare le sedi di produzione ai costi e ai clienti. "Per le PMI tedesche, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica, adattarsi al nuovo mondo dell'energia sarà più impegnativo e alcune aziende falliranno".

Gli ultimi dati sulla produzione nazionale hanno mostrato che la prossima flessione ciclica dopo lo shock pandemico nella maggior parte dei settori industriali tedeschi è già iniziata. Le bollette elevate del gas e dell'elettricità, il rallentamento globale e un clima economico negativo sono i principali fattori alla base del crollo previsto. Si profila un'altra recessione in un momento in cui le conseguenze della crisi pandemica non sono state ancora superate.

domenica 24 novembre 2019

Deutsche Bank e Commerzbank difendono l'unione bancaria, le casse di risparmio e le banche cooperative non ne vogliono sapere

Per i tedeschi ormai è chiaro che il salvataggio di Deutsche Bank e Commerzbank dovrà passare attraverso una fusione bancaria europea, e questo probabilmente è il motivo dietro la recente accelerazione del ministro Scholz sull'unione bancaria. Leggendo le cronache tuttavia si capisce che il mondo bancario tedesco sul tema è molto diviso. Ne scrive Die Welt


Gli istituti finanziari tedeschi sono divisi sulla proposta del ministro delle finanze Scholz per la creazione di un'assicurazione europea sui depositi. A battersi per la sua creazione è soprattutto Deutsche Bank - con il supporto di una grande banca straniera.

(...) I rappresentanti di alto livello dell'industria finanziaria tedesca ed europea si sono incontrati la scorsa settimana a Francoforte in occasione della Euro Finance Week per discutere di alcuni temi attuali. Uno di questi temi, che il primo giorno ha suscitato notevoli controversie fra i banchieri presenti, è stata proprio la recente iniziativa del ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz per l'unione bancaria e il mercato comune dei capitali in Europa.

Scholz circa due settimane fa aveva segnalato la disponibilità della parte tedesca a fare qualche concessione su questo tema. Finora l'assicurazione europea comune sui depositi, infatti, era sempre fallita a causa della resistenza tedesca. Scholz con la sua proposta di istituire un Fondo europeo di assicurazione sui depositi, in gergo noto come EDIS, ha voluto rompere questa situazione di stallo. Si tratterebbe di un fondo che dovrebbe entrare in funzione se i sistemi di garanzia nazionali dovessero andare in crisi.

I prerequisiti per la sua istituzione sarebbero: la standardizzazione delle regole di insolvenza e di risoluzione delle crisi bancarie in Europa, la riduzione dei crediti in sofferenza, in particolare quelli delle banche del sud, e il cambio di status dei titoli di Stato nei bilanci delle banche i quali non dovrebbero essere più trattati come obbligazioni prive di rischio.

Jörg Kukies, Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle finanze, a Francoforte ha difeso con forza i piani del suo ministro. "Il mercato bancario europeo è troppo frammentato, ci sono dei grandi svantaggi", ha affermato. La situazione deve cambiare. Kukies ritiene inoltre che le banche dell'Europa del sud nella riduzione dei loro crediti inesigibili siano sulla buona strada.

A dargli supporto anche la consigliera della Bundesbank Sabine Mauderer. "La proposta del ministro delle finanze Olaf Scholz porta un nuovo slancio nella discussione - e questo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno", ha affermato. L'Europa deve integrarsi di più, soprattutto in un momento in cui altri mercati si stanno progressivamente allontanando. E' importante pertanto un'unione del mercato bancario e dei capitali. "Ma una vera unione bancaria richiede anche un'assicurazione comune sui depositi".

Banche cooperative e casse di risparmio contro la responsabilità condivisa

Anche Felix Hufeld, capo dell'organo di supervisione finanziaria BaFin, si è unito a Scholz. "Accolgo con favore l'iniziativa del ministro delle finanze, il quale sta cercando di rilanciare una discussione ormai arenata", ha detto. 

Con la necessaria volontà politica, tuttavia, è possibile raggiungere una soluzione, anche per quanto riguarda l'istituzione di una unione del mercato dei capitali. "È uno dei progetti più importanti dell'Unione europea", ha affermato Huffeld. "E' giusto e meritevole sforzarsi per questo obiettivo".

Ma ci sono state anche forti critiche e queste sono arrivate soprattutto dal lato delle banche cooperative. Uwe Fröhlich, amministratore di DZ Bank, l'istituto di vertice del settore cooperativo, ritiene che le proposte di Scholz siano molto poco attraenti dal punto di vista tedesco. "Nessun cliente tedesco alla fine ne beneficierà", ha affermato. E per il settore sarà piuttosto un peso aggiuntivo. In una direzione simile sono andate anche le critiche del rappresentante delle casse di risparmio: l'industria finanziaria tedesca non ha bisogno dell'Unione bancaria europea.

Tuttavia ciò ha fatto arrabbiare Karl von Rohr, vicepresidente di Deutsche Bank. "Ognuno dovrebbe sapere da sé, se accontentarsi di contare gli gnomi nel giardino del proprio cortile o pensare in grande", ha detto. L'unione bancaria contribuisce a creare un mercato più grande in Europa e questo è cruciale per la sua competitività con America e Cina.

Ovviamente si tratta anche del futuro di Deutsche Bank. Perché dopo il fallimento dell'ultima fusione con Commerzbank, la più grande banca privata tedesca evidentemente ha scelto di orientarsi in maniera diversa. "Per noi, il consolidamento avrà luogo a livello europeo", ha affermato von Rohr. Questo è un altro motivo per cui è importante avere un mercato bancario europeo unico.

Ottenendo peraltro il supporto di un concorrente, Carola von Schmettow, portavoce di HSBC Germany, la quale sostiene la proposta del Ministro federale delle finanze, e anche lei lo considera un prerequisito per la competitività delle banche europee a livello globale. "Abbiamo bisogno di campioni europei", ha detto.

Chi alla fine farà parte di questo scenario ancora non è chiaro, come non sono chiare le prospettive per l'unione bancaria e il mercato dei capitali. Perché il progetto del ministro delle finanze della SPD ha altri oppositori agguerriti fra le fila dei partner di coalizione.

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giovedì 21 marzo 2019

Handelsblatt - Con la fusione bancaria la Germania si gioca la sua credibilità

"La fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita dello stato, allora si tratterà di capitalismo di stato". Se ne sono accorti anche sulla cosiddetta stampa di qualità. Ne scrive Frank Wiebe su Handelsblatt


Il ministro delle finanze tedesco assume un alto banchiere di Goldman Sachs come sotto-segretario. Poi spinge Deutsche Bank e Commerzbank a sondare la possibilità di una fusione. Anche i fautori di questo accordo riconoscono che la riduzione dei costi di finanziamento, grazie al sostegno del governo, sarebbe uno dei principali vantaggi aziendali derivanti dalla fusione.

Se il governo tedesco, il principale azionista di Commerzbank, si fa carico di portare avanti il ​​progetto, non sarà certo il governo a piantare in asso la "Deutsche Commerzbank" - o come si chiamerà. A cosa somiglia? All'economia di mercato? Alla politica di regolamentazione? Ricorda forse la promessa di non scaricare più sul contribuente i rischi del settore bancario?

La risposta è in ogni caso: no. E cosi' la Germania sta mettendo in gioco la sua credibilità. In futuro in Europa non potremo più recitare il ruolo del professore. Cinicamente ci si potrebbe chiedere se questo sia un vantaggio o uno svantaggio. Non sono proprio i politici tedeschi che da sempre chiedono agli altri paesi dell'area dell'euro di rispettare le regole?

Non c'erano forse critiche nei confronti dell'Italia quando il governo italiano aiutava le banche piccole e medie? Non nutriamo il sospetto che in Francia il capitalismo di stato alla Colbert o alla Mitterrand sia ancora molto popolare? I richiami tedeschi suonavano sempre un po' vuoti. Un'ampia quota di mercato gestita dalle banche di diritto pubblico non puo' certo essere un modello di politica di regolamentazione.

Non solo durante la crisi finanziaria c'è stata una forte volontà di spendere denaro pubblico per salvare modelli di business falliti. Ma ancora oggi, come mostra l'esempio attuale di NordLB. Ma la fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita, allora si tratterà di capitalismo di stato. Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze sotto Luigi XIV, e il presidente socialista François Mitterrand non avrebbero potuto fare di meglio.




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mercoledì 13 marzo 2019

Una fusione fra due pesi leggeri

La fusione fra Deutsche Bank e Commerzbank s'ha da fare, almeno secondo il Ministro delle Finanze Scholz. La politica di Berlino spinge verso una fusione che metta in sicurezza il settore bancario prima che arrivi un'altra crisi economica o prima che un forte concorrente estero, come BNP, riesca ad entrare nel ricco mercato tedesco. Sullo sfondo le elezioni europee di maggio e un nuovo Parlamento con forze politiche meno indulgenti verso il corso interventista di Berlino. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy.


Solo al 19 ° posto

Secondo le cronache più recenti Deutsche Bank e Commerzbank hanno avviato dei colloqui esplorativi in merito alla possibilità di una fusione fra le 2 banche. Se si dovesse arrivare alla fusione, nascerebbe di gran lunga il più grande istituto finanziario tedesco con un bilancio complessivo di quasi due trilioni di euro e 38 milioni di clienti. Attualmente sono circa 130.000 i lavoratori impiegati dalle due banche, di questi circa 80.000 nella Repubblica federale. Con la fusione tuttavia non cambierebbe di molto la situazione del nuovo istituto finanziario, in quanto con una capitalizzazione di mercato di 24 miliardi di euro nel confronto internazionale resterebbe "un peso leggero", scrivono gli osservatori. In effetti Deutsche Bank con una capitalizzazione di mercato di soli 19,6 miliardi di euro nel 2018 era il più grande istituto finanziario tedesco, ma si trovava solo al 19° posto nella classifica delle principali banche europee [2], posizione dovuta all'enorme perdita di valore delle azioni della banca in crisi. Entrambi gli istituti non si sono mai veramente ripresi dallo shock della crisi finanziaria globale del 2007/08. Il valore del titolo Deutsche Bank negli ultimi cinque anni è sceso da poco meno di 30 euro fino a soli sette euro.

Politicamente forzato

Secondo le cronache i due istituti finanziari sarebbero sotto la pressione della politica che spinge per accelerare la fusione. [3] Berlino si aspetta "una decisione nelle prossime settimane", scrive la stampa. Sarebbe soprattutto il Ministro delle finanze federale Olaf Scholz (SPD) a spingere verso la creazione di una forte banca tedesca di grandi dimensioni. Poiché il governo tedesco continua a detenere circa il 15 per cento delle azioni di Commerzbank, di cui è entrato in possesso in seguito al sostegno offerto durante la crisi finanziaria del 2007, il Ministro delle Finanze, in quanto maggiore azionista della banca, dispone anche dei mezzi necessari per far attuare il suo piano. Berlino preme sull'acceleratore in quanto teme che le prossime elezioni europee possano portare una "nuova maggioranza a Bruxelles" che potrebbe bloccare la fusione. Inoltre la strategia si adatta al nuovo corso economico interventista del governo federale: creare dei "campioni nazionali" - società monopoliste per far fronte alla crescente concorrenza mondiale - attraverso delle fusioni nei settori piu' importanti. A Berlino la fusione strategica viene considerata l'ultima possibilità "per rafforzare il settore delle grandi banche in Germania", si dice. Se la fusione dovesse fallire, per Commerzbank ci sarebbe la minaccia di un'acquisizione da parte di un "compratore straniero". A Berlino viene presa in considerazione anche la possibilità di fondere Commerzbank con un gruppo finanziario francese come BNP Paribas; ma in tal caso Deutsche Bank si troverebbe in casa un "potente concorrente" che "potrebbe rendere ancora piu' difficile il rilancio della più grande banca tedesca".

Una fusione di emergenza?

Un altra ragione che spinge il governo federale ad accelerare verso una fusione fra i due istituti finanziari, secondo gli osservatori, riguarderebbe la crescente preoccupazione per la crisi in arrivo. Deutsche Bank in caso di crisi potrebbe finire in "difficoltà", si dice; un "rallentamento dell'economia" con ogni probabilità spingerebbe i due istituti finanziari in una situazione di "squilibrio". La fusione tanto desiderata dalla politica sarebbe più che altro una fusione di emergenza. [5] L'utile annuale annunciato da Deutsche Bank - sebbene relativamente basso, ma comunque il primo dopo quattro anni - non è riuscito a nascondere il rapido declino del settore finanziario tedesco. In questo senso è significativo il confronto con la concorrenza statunitense: JP Morgan, la più grande istituzione finanziaria degli Stati Uniti, con cui un tempo "Deutsche Bank amava confrontarsi", ha una capitalizzazione di mercato di oltre "300 miliardi di euro".

"Politica industriale per le banche"

Secondo gli esperti, infatti, l'intero settore finanziario tedesco si troverebbe in una fase di declino, non solo a livello internazionale ma anche a livello nazionale, dove le banche estere stanno espandendo la propria posizione. Il settore finanziario si sta quindi sviluppando nella direzione opposta rispetto ad un'economia tedesca fortemente orientata all'export. A differenza degli Stati Uniti, nella Repubblica federale dopo lo scoppio della crisi finanziaria gli istituti finanziari, dopo essere stati "salvati" a suon di miliardi di euro, non sono stati "dotati di nuovo capitale fresco", scrivono gli osservatori; è mancato il "capitale necessario per fare le riforme interne urgentemente necessarie e affrontare le sfide della digitalizzazione". [6] Le banche tedesche di conseguenza sono rimaste indietro rispetto ai concorrenti. Le misure del Ministero delle finanze in questo contesto possono essere considerate come "una politica industriale per il settore finanziario" che alla fine giova "all'intera economia tedesca". In ogni caso, nei centri finanziari di Francoforte l'approccio di Scholz, in considerazione dello stato in cui versa il settore, viene accolto con favore.

Ritiro dall'Europa dell'Est e dal Portogallo

Deutsche Bank di fatto si è già ritirata da diversi mercati europei. In Portogallo, ad esempio, nel corso del 2018 ha completato la sua uscita dal settore bancario privato e aziendale cedendolo alla banca regionale spagnola Abanca [7]. Nell'ambito della ristrutturazione del gruppo e della necessaria riduzione dei costi, anche in Polonia l'attività bancaria commerciale è stata ceduta alla banca spagnola Santander. Nel contesto della vasta inchiesta sul riciclaggio di denaro nella filiale estone della Danske Bank, per la quale la principale istituzione finanziaria tedesca ha gestito come banca corrispondente transazioni dubbie per un volume di 150 miliardi di euro, nell'Europa orientale è iniziata una ritirata generale da questa linea di business. Dal 2016, il numero dei clienti in quest'area è stato ridotto di "circa il 60 %", ha detto l'incaricato di Deutsche Bank per il contrasto al riciclaggio di denaro all'inizio di febbraio davanti ai parlamentari europei. Nei confronti della banca in crisi, infatti, negli Stati Uniti sono in corso delle indagini in quanto dal 2007 al 2015 avrebbe ripulito e trasferito circa 200 miliardi di euro provenienti da fonti russe alquanto torbide [9].

Pressione negli Stati Uniti

La dubbia natura dei business gestiti dalla grande banca tedesca, anche negli Stati Uniti sta causando un aumento della pressione. Già alla fine dello scorso anno alcuni politici democratici avevano annunciato la volontà di esaminare il ruolo di Deutsche Bank nei flussi di cassa di dubbia natura che in alcuni casi portano fino all'ambiente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. [10] Nel frattempo due commissioni parlamentari alla Camera si stanno occupando di Deutsche Bank per chiarire le sue pratiche e i rapporti con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sono probabili audizioni pubbliche sulle attività di riciclaggio di denaro di Deutsche Bank. Date le prospettive cupe negli Stati Uniti, la stampa finanziaria tedesca formula delle raccomandazioni chiare in merito ai titoli del più grande istituto finanziario tedesco: "evitate le azioni" [11]

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[1] Tim Kanning: Sewing holt sich Erlaubnis für Gespräche über eine Fusion. faz.net 10.03.2019.
[2] The 20 largest banks in Europe by market capitalization. banksdaily.com 31.05.2018.
[3] Deutsche Bank und Commerzbank prüfen Zusammenschluss. zeit.de 09.03.2019.
[4] Tim Kanning: Sewing holt sich Erlaubnis für Gespräche über eine Fusion. faz.net 10.03.2019.
[5] Tim Bartz: Auf dem Weg zur Notfusion. spiegel.de 31.01.2019.
[6] Deutsche Banken noch immer in der Krise. daserste.de 17.10.2018.
[7] Deutsche Bank: Rückzug aus Privatkundengeschäft in Portugal. fnp.de 27.03.2018.
[8] Deutsche Bank zieht sich aus Osteuropa zurück. n-tv.de 04.02.2019.
[9] Meike Schreiber: Deutsche Bank gerät im Danske-Skandal unter Druck. sueddeutsche.de 23.01.2019.
[10] Für die Deutsche Bank steigt der Druck aus den USA. handelsblatt.com 07.02.2019.
[11] Deutsche Bank: Neue Ermittlungen in den USA? deraktionaer.de 14.12.2018.


lunedì 17 dicembre 2018

Deutsche Bank simbolo del declino tedesco

"C'è stato un tempo in cui Deutsche Bank era considerata l'incarnazione delle virtù tedesche: serietà, affidabilità, solidità e onestà...", peccato ora non sia piu' cosi'. Quello di Deutsche Bank è solo uno fra i numerosi scandali degli ultimi anni, e qualcuno inizia a chiedersi se anche per la grande Germania i tempi buoni non siano definitivamente passati. Una interessante riflessione di Hubert von Brunn da Epoch Times, una testata online con qualche simpatia populista.


C'è stato un tempo in cui - i più anziani ricorderanno - Deutsche Bank era considerata l'incarnazione delle virtù tedesche: serietà, affidabilità, solidità e onestà... E grazie a queste qualità eccezionali DB godeva di un'ottima reputazione internazionale, arrivando ad essere una delle più grandi banche mondiali. Fino a quando lo svizzero Josef Ackermann nel 2002 ne ha assunto la guida e nei suoi 10 anni di mandato ha trasformato questo faro dell'economia tedesca in un cumulo di macerie. Proprio laddove un tempo dei potenti imprenditori e degli statisti facevano la fila per siglare degli affari, nelle ultime settimane ci sono state le perquisizioni dei funzionari della polizia criminale, della polizia federale e del dipartimento investigativo fiscale, perquisizioni che hanno riguardato anche gli uffici esecutivi.

Ancora una volta si tratta di riciclaggio di denaro. Per ora ci sarebbero due dipendenti di alto livello sospettati di aver aiutato i clienti a creare delle società fittizie nel paradiso fiscale delle Isole Vergini per ripulire del denaro. Secondo le comunicazioni iniziali della procura, in ballo ci sarebbero anche i "profitti" derivanti dalle attività criminali. Le indagini sono in corso da agosto e si riferiscono agli anni fra il 2013 e il 2018. Ackermann era già da tempo a proprio agio nel suo castello in Svizzera. Le irregolarità che ora sono oggetto di indagine si sarebbero quindi verificate sotto i suoi successori: Anshu Jain (indiano britannico) e John Cryan (britannico).

Non siamo ancora fuori dal pantano

Avete notato qualcosa? Per oltre 16 anni la più grande banca tedesca non è stata gestita da un tedesco. 16 anni in cui arroganza, avidità e debolezze di carattere si sono fatte largo nelle torri gemelle di Francoforte e hanno trasformato Deutsche Bank, un tempo un istituto rispettato, in una banca dalla reputazione molto dubbia. Dalle file della sinistra si è anche alzata la richiesta di ritirare la licenza bancaria appesa al muro della banca. Non siamo ancora arrivati ​​a questo punto, ma il mondezzaio che l'attuale presidente Christian Sewing - di nuovo un tedesco - dovrà cercare di ripulire, è davvero un compito titanico. Operazioni rischiose sui mutui (in particolare negli Stati Uniti), tassi di interesse manipolati, riciclaggio di denaro, Panama Papers, off-shore Leaks, transazioni azionarie cum-ex, ecc - i dirigenti di Deutsche Bank hanno partecipato a tutti questi affari loschi riempiendosi le  tasche. E ciò ha già portato a innumerevoli procedimenti legali e a oltre 20 miliardi di euro di multe. E il pantano - come si può ben vedere - è tutt'altro che asciutto.

Come abbia fatto una banca così rispettabile a portarsi in casa un incosciente come Josef Ackermann, una mente ragionevole difficilmente riesce a capirlo. Lo svizzero nel 2004 era già stato inquisito nel processo Mannesmann per irregolarità nella battaglia per l'acquisizione combattuta con Vodafone. Non importa, si è comportato come un Messia, ha mostrato il segno della vittoria e si è seduto comodamente sulla poltrona di presidente esecutivo di DB con uno stipendio annuale di circa 13 milioni di euro. Nel 2005 ha suscitato un vero scandalo quando contro tutte le voci che lo mettevano in guardia ha voluto fissare il folle obiettivo di raggiungere un rendimento sul capitale proprio pari al 25% (!).  Mentre annunciava la riduzione di 6.400 posti di lavoro, un grido di indignazione attraversava il paese. E tutto ciò accadeva proprio il  giorno dopo che il numero dei disoccupati in Germania per la prima volta aveva superato i cinque milioni. I politici e i sindacalisti all'epoca parlavano di un "porcheria", vedevano al lavoro "stupide persone che pensano solo al denaro" e chiedevano di boicottare la banca. Da allora in poi è andato tutto a picco. Ackermann & Co. non solo hanno rovinato il bilancio e il prezzo delle azioni di Deutsche Bank, ma anche la sua reputazione, che per molti decenni fin ad allora in tutto il mondo non era mai stata messa in discussione.

Il mondo ci ride dietro

Ma non è abbastanza. Il disastro Deutsche Bank, anche preso singolarmente, sarebbe già abbastanza grave, se poi lo si inquadra nel concerto dei fallimenti che in questi ultimi anni la Germania ha mostrato al resto del mondo, la questione allora si fa enorme. C'è il tentativo senza speranza di costruire un aeroporto nella capitale. Semplicemente non ne vuole sapere di avere successo. I guasti si sommano ai guasti - e il mondo ride a crepapelle. Il Dieselgate! L'avidità e l'arroganza hanno messo a repentaglio il fiore all'occhiello dell'economia tedesca, l'industria automobilistica, in particolare Volkswagen. Quali incredibili profitti siano stati fatti dalla società negli ultimi decenni, lo dimostra il fatto che i 20 miliardi di dollari di sanzioni che VW è stata condannata a pagare negli Stati Uniti non hanno impressionato piu' di tanto l'azienda. Il danno di immagine che i marchi premium tedeschi con i loro imbrogli hanno fatto al marchio di qualità "Made in Germany" tuttavia è immenso. Mentre le condanne contro le aziende tedesche arrivano principalmente dagli Stati Uniti.

Alla stessa maniera è stato colpito anche il gigante della chimica Bayer, dopo aver inghiottito il concorrente americano Monsanto. All'improvviso c'è una valanga di cause legali - e persino multe per ca. 80 milioni di euro - dovute alla produzione di glifosato. Per decenni la Monsanto ha fabbricato questo pesticida e l'ha usato in tutto il mondo,  Stati Uniti compresi. Ma ciò non era mai stato un problema. Solo dopo che la società tedesca ne è diventata proprietaria, si è invece trasformato in  un problema.

Cosa c'è che non va in Germania?

Per non dimenticare la Bundeswehr. In varie missioni all'estero, dove di fatto l'esercito non ha nulla da cercare, le truppe vengono duramente messe alla prova, mentre  in realtà non riescono nemmeno a garantire il loro compito primario, cioè la difesa nazionale: perché le navi non galleggiano, i sommergibili non si immergono, gli elicotteri non volano e i Panzer non si muovono.  Il mondo ci ride dietro, e poi l'aereo del governo, che ha sempre dei problemi, e che recentemente ha costretto la Cancelliera ad arrivare al vertice del G-20 a Buenos Aires con un giorno di ritardo. La situazione è ancora più imbarazzante e il mondo intero ci ride dietro.

Cosa c'è che non va in Germania? La terra di poeti e pensatori, inventori, ingegneri, scienziati e innovatori? Non ce la facciamo piu'? Abbiamo già sparato tutte le nostre cartucce e dobbiamo solo guardare a come altri paesi - Cina, Svizzera o Turchia - riescono a terminare grandi progetti apparentemente senza troppi sforzi? Al momento sembra proprio che sia così. L'antica reputazione che un tempo avevamo di economia di grande successo, è stata messa in discussione da ben note società (vedi sopra) per avidità e arroganza.

Un paese con un'economia forte ha anche bisogno di una leadership adeguata, specialmente nell'era della globalizzazione. Ma questo è esattamente ciò che non abbiamo - e sembra che non lo avremo anche nei prossimi anni. Come abbia fatto la rivista americana "Forbes", a nominare la cancelliera Merkel la "donna più potente del mondo", non mi riesce proprio di capirlo.

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martedì 18 settembre 2018

Josef Ackermann e il disastro Deutsche Bank

Un'ottima inchiesta della ZDF prova a ricostruire il ruolo avuto da Josef Ackermann, il carismatico ex-capo di Deutsche Bank, nella crisi finanziaria iniziata nel 2007. Emerge il ritratto di un bankster senza scrupoli che nel tentativo di salvare la sua testa ha messo nei guai Deutsche Bank e l'intero settore bancario tedesco. Ne parla Handelsblatt.


(...) C'è un top manager che fin dalla grande crisi lavora con un certo impegno alla sua riabilitazione sociale: Josef Ackermann. Lo svizzero, dal 2002 al 2012 alla guida di Deutsche Bank, è indaffarato come non mai. Dal 2014 è presidente del consiglio di amministrazione della più grande banca di Cipro. Ha appena finito di fare consulenza sulle grandi fusioni bancarie europee. Recentemente, ha anche ribadito di aver consegnato ai suoi successori una Deutsche Bank "in buone condizioni", criticando l'attuale dirigenza.

A parlare è un manager purificato e in pace con se stesso - oppure un eterno impostore che lavora alla sua riabilitazione? Un documentario della ZDF ripercorre il ruolo di Deutsche Bank negli anni della crisi e arriva a un verdetto molto chiaro sul ruolo avuto dal suo ex amministratore.

"E' stato senza dubbio l'incendiario. Non era né onesto né decente. E' un uomo senza scrupoli che ha cercato di tenere lontani da sé i problemi", dice Ingrid Matthäus-Maier sul ruolo di Ackermann durante la Grande Crisi. L'ex capo della banca pubblica KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) ricorda ancora con emozione le riunioni tenute negli anni di crisi 2007 e 2008. Da allora si rifiuta di dare la mano ad Ackermann, ci spiega.

Il documentario affronta molto bene la storia della crisi finanziaria e il modo in cui le grandi banche confezionavano i mutui degli acquirenti di immobili poco affidabili, li mescolavano con dei prestiti migliori, ottenendo cosi' un buon rating e infine distribuivano i rottami cartolarizzati in tutto il mercato finanziario.

Deutsche Bank sempre in prima linea. Anche in Germania ha concesso molti mutui e rivenduto a terzi i prestiti a rischio insolvenza, come dimostra il video con il caso della città di Plauen. Un totale di 4,5 miliardi di euro fatturati dalla banca solo sul mercato tedesco, con un utile netto generato di 900 milioni di euro. Ma gli affari piu' grandi erano negli Stati Uniti, dove nel frattempo era stato creato un pacchetto di mutui di oltre 100 miliardi di dollari presso la sede di New York.

Come è potuto accadere che ad essere in prima linea ci fosse sempre Deutsche Bank? Il documentario ZDF presenta due importanti testimoni chiave: il precedente e l'attuale capo economista dell'istituto.

Thomas Mayer, capo economista fino dal 2012, ricorda una riunione interna del 2005, quando gli analisti di Deutsche Bank avevano messo in guardia dal rischio dei prestiti ipotecari cartolarizzati e avevano profetizzato un incidente a breve. La risposta del consiglio di amministrazione? La prassi da molti anni ormai è entrata nel mainstream, tutti i concorrenti fanno lo stesso. "Le cose sono rimaste come erano", dice Mayer.

"Sapevamo molto bene che il mercato dei mutui subprime sarebbe crollato. Solo che non sapevamo esattamente quando. Abbiamo creduto agli esperti che ci dicevano che prima di arrivare al crollo sarebbero stati necessari un paio di anni ancora", spiega David Folkerts-Landau, attuale capo-economista della banca. "Chi esce troppo presto, perde il posto. Chi esce troppo tardi, perde un sacco di soldi. La decisione del management fu: dobbiamo restare in gioco".

Il motore al vertice della banca, come è chiaro dal documentario della ZDF, era Josef Ackermann. La sua ambizione era illimitata: nel giro di pochi anni una banca tedesca di grande tradizione come DB, da sempre un po' noiosa, doveva essere catapultata nel club delle tre maggiori banche mondiali. Per fare cio' i profitti dovevano aumentare drasticamente - Ackermann aveva fissato un obiettivo del 25% di rendimento sul capitale proprio.

"L'espansione di Deutsche Bank a partire dal 2003 nelle diverse aree di attività è stata una crescita che la banca non è stata in grado di affrontare con le proprie forze", afferma Folkerts-Landau oggi. È stato possibile solo grazie ad una crescita finanziata a debito, in una situazione in cui la banca ha lavorato con leve enormi, prima di tutto per la sua presunta inviolabilità. "Gli americani dicevano: questa è Deutsche Bank, cosa dovrebbe mai accadere a Deutsche Bank?", cosi' dice Folkerts-Landau.

Nel 2007 la festa stava già volgendo al termine. La situazione sul mercato finanziario stava diventando tossica, perché nessuno poteva valutare il rischio di credito insito nei titoli garantiti dai mutui e le banche non volevano piu' prestarsi soldi fra loro. La prima vittima della crisi è stata la IKB (Deutsche Industriebank). Un tempo la banca piu' solida di Dusseldorf, con una grande esperienza nel finanziamento delle PMI, che negli anni prima della crisi aveva investito sempre piu' denaro sul mercato statunitense dei mutui e che alla fine, sotto il suo capo Stefan Ortseifen, aveva scommesso e perso una grande quantità di denaro.

Fino al 2007 Deutsche Bank era sempre stata pronta a vendergli tutta la sua spazzatura. Ma quando la IKB si è trovata in difficoltà e ha avuto bisogno di aiuto, il CEO di Deutsche Bank Ackermann, durante la notte, gli ha tagliato la linea di credito. L'ex presidente di KfW Ingrid Matthäus-Maier sostiene: "E' stato lui, solo lui ad innescare questa crisi, tutto per spingere le altre parti a risolvere la crisi, senza che i privati subissero delle perdite. Come consiglio di amministrazione di KfW ci sentimmo ricattati, in particolare da Ackermann". Nel giro di 24 ore il consiglio di KfW ha dovuto decidere se salvare IKB con i soldi pubblici.

Perché il CEO di Deutsche Bank ha agito in maniera cosi' spietata? L'ex presidente delle casse di risparmio tedesche, Heinrich Haasis, sospetta che Ackermann con il salvataggio dell'IKB volesse dare l'esempio per dissipare i crescenti dubbi sulla solidità del suo istituto. Fedele al motto: per Deutsche Bank, anche durante la crisi, è lo stato tedesco a garantire.

Ackermann stava comprando tempo per sé e per il suo istituto. Ancora nel febbraio 2008 credeva di essere all'apice del suo successo, tanto da festeggiare il suo 60esimo compleanno alla Cancelleria federale di Berlino su invito di Angela Merkel. Ackermann  da molto tempo era a conoscenza del pericoloso squilibrio che interessava l'intero sistema.

Come ha reagito il capo di Deutsche Bank quando la crisi con la bancarotta di Lehman nel 2008 si è aggravata? Il documentario della ZDF solleva una grave accusa: per salvare la sua testa, il topbanker ha agito di conseguenza comportandosi sempre di più come un frullatore.

L'inchiesta della ZDF, sulla base dei documenti della Federal Reserve americana, ricostruisce il modo in cui Deutsche Bank segretamente e sin dall'inizio aveva ottenuto dei prestiti governativi. Già ad inizio 2008 negli Stati Uniti la banca aveva preso in prestito 76 miliardi di dollari. Ufficialmente la banca tuttavia sosteneva di aver risolto i suoi problemi, mentre anche negli anni di crisi continuava a versare miliardi di dollari di bonus ai suoi vertici (71 miliardi di dollari dal 1995 al 2016). E mentre le altre grandi banche negli Stati Uniti sono state forzosamente nazionalizzate e ricapitalizzate con il denaro dei contribuenti - una ragione della loro forza attuale - Ackermann dichiarava che si sarebbe vergognato di accettare dei soldi pubblici.

L'attuale capo-economista Folkerts-Landau spiega: "Ero presente a questa teleconferenza quando Joe (Ackermann) ha detto quella frase. È stata una delle decisioni politiche più egocentriche che abbia mai visto prendere da un banchiere di vertice. Se avessimo preso i soldi, Joe avrebbe probabilmente perso il suo lavoro. Ma a quanto pare non l'aveva preso in considerazione".

Proprio a causa dei trucchi di Ackermann, degli occultamenti e per la sua volontà di posticipare la soluzione dei problemi, durante tutta la crisi è stata impedita una pulizia della banca proprio nel momento in cui sarebbe stata più necessaria. "È stato un errore politico così grave. È semplicemente incomprensibile che un membro del settore finanziario di alto rango possa prendere una tale decisione", dice Folkerts-Landau all'indirizzo dell'ex capo della banca.

Si tratta di un giudizio duro e anche molto comodo, poiché allevia le responsabilità di molti altri decisori. La domanda che il film non fa è un'altra: perché così tante personalità di alto rango si sono fatte abbagliare da Ackermann e dalla sua banca? Quali colpe portano con sé? "Potrebbe essere un uomo molto affascinante", spiega Matthäus-Maier in un'intervista su Ackermann. Come motivazione della loro debolezza nel riconoscere la gravità della situazione tuttavia non è abbastanza. (...)

La conclusione dell'ex ministro delle Finanze federale Wolfgang Schäuble non poteva essere piu' chiara: "Se si guarda all'attuale situazione di Deutsche Bank, per dirla in maniera educata, non hanno ancora superato il guado. Ecco perché, se in passato fossero stati un po' piu' umili, avrebbero potuto evitare un po' dei  danni che invece sono stati fatti".

Per il futuro gli addetti ai lavori fanno delle brutte previsioni. Folkerts-Landau dice: "Sarei sorpreso se nei prossimi tre-cinque anni non ci fosse un'altra crisi molto grave". Già oggi vengono scambiati più derivati rispetto a quanto non accadeva prima della crisi finanziaria, come se l'intera industria fosse drogata dal denaro a basso costo.

Alla fine del film è chiaro che quando "il sistema" fallisce, sono le persone a fallire. E anche se molti nella corsa verso la crisi finanziaria pensavano e si comportavano come lui, Josef Ackermann resta uno dei principali responsabili. Non può sfuggire a questa colpa, anche se, come in questo caso, continua a rifiutare tutte le richieste di rilasciare un'intervista.


Il Video completo: Geheimakte Finanzkrise – Droht der nächste Jahrhundert-Crash? 


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domenica 14 maggio 2017

Intervista a Thomas Mayer sulla moneta unica

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank e commentatore sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, intervistato da Deutsche Wirtschafts Nachrichten (DWN) dà la sua versione sullo stato della moneta unica: l'Euro nella sua forma attuale non ha nessuna possibilità di sopravvivere e l'Italia è il vero caso problematico dell'unione monetaria. Da deutsche-wirtschafts-nachrichten.de


DWN: Secondo lei qual'è lo stato dell'unione monetaria?

Mayer: Purtroppo non buono. Con le promessa di fare tutto cio' che sarà necessario per salvare l'Euro, il presidente della BCE Draghi è riuscito a calmare la crisi, ma solo in superficie. La crisi tuttavia continua a covare sotto la cenere. Sicuramente Spagna e Irlanda stanno facendo bene, ma il Portogallo resta un caso problematico e i programmi di aggiustamento per la Grecia sono falliti. Il caso peggiore tuttavia è l'Italia che si è trasformata in un problema quasi insormontabile per l'unione monetaria.

DWN: quali sono i problemi specifici dell'Italia?

Mayer: l'Italia non ha imparato a convivere con la moneta unica. In passato la Lira veniva svalutata regolarmente, per ripristinare la competitività perduta attraverso un'inflazione piu' alta. Dall'introduzione dell'Euro una tale svalutazione non è piu' possibile. Le conseguenze della perdita di competitività sono un'economia stagnante, un debito pubblico sempre crescente e le banche in difficoltà. Oggi il PIL reale italiano pro-capite è sempre al livello del 1998, l'indebitamento pubblico superiore di 20 punti percentuali di PIL e i crediti in sofferenza delle banche sono quasi il 18% dei prestiti totali.

DWN: la BCE puo' risolvere i problemi di competitività del sud-Europa attraverso l'acquisto di obbligazioni pubbliche e con i bassi tassi di interesse?

Mayer: no, ufficialmente l'acquisto di obbligazioni serve ad allentare la politica monetaria, con l'obiettivo di portare l'inflazione al 2%. Di fatto pero' l'acquisto assicura ai paesi con un basso rating l'accesso al mercato dei capitai. Gli ottimisti pensano che in questo modo si puo' dare ai governi il tempo necessario per fare le riforme. Se si guarda all'Italia si vede chiaramente che sta accadendo esattamente il contrario. Le riforme vengono posticipate mentre cresce la dipendenza dal sostegno della BCE.

DWN: quali sono le conseguenze di lungo periodo di queste politiche?

Mayer: l'unione monetaria si sta lentamente trasformando in una unione di trasferimento e in una comunità fondata sull'inflazione. Ai tedeschi era stato promesso che l'Euro sarebbe stato forte come il D-Mark. In verità si sta sviluppando come il successore della Lira italiana.

DWN: questo vuol dire che l'esplosione dei saldi Target è un vero problema oppure si tratta solo di un sistema di contabilità insignificante per l'economia reale?

Mayer: la BCE sostiene che il rapido aumento dei saldi Target è solo di natura tecnica. Gli investitori che ad esempio vendono titoli di stato italiani preferirebbero lasciare il denaro ricevuto, ad esempio, sui conti tedeschi. Le obbligazioni passano nelle mani di Banca d'Italia e in questo modo si crea un debito dell'Italia nei confronti del sistema Target. Se si trattasse solo di una questione tecnica allora i saldi target negativi non dovrebbero concentrarsi unicamente nei paesi finanziariamente sotto pressione. Pero' sta accadendo esattamente questo. Bundesbank a fine gennaio aveva un saldo positivo di circa 800 miliardi di euro. Si tratta di un gigantesco trasferimento dei rischi dagli investitori in titoli pubblici verso il contribuente tedesco.

DWN: pensa sia possibile bloccare una crescita ulteriore dei saldi Target?

Mayer: il problema è che il sistema Target è stato concepito senza un obbligo di compensazione degli squilibri. Si differenzia fondamentalmente dal sistema dei trasferimenti della FED americana, inizialmente servito come modello. Nel sistema della FED gli stati devono compensare gli squilibri con dei regolari trasferimenti in conto capitale. Per fermare l'esplosione dei saldi Target la Bundesbank dovrebbe bloccare la sua partecipazione al sistema attuale e gestire i nuovi pagamenti solo attraverso un nuovo sistema in cui gli squilibri vengono compensati dai trasferimenti in conto capitale, ad esempio utilizzando le riserve d'oro.

DWN: una ulteriore crescita dei saldi Target puo' rendere il governo tedesco ricattabile?

Mayer: maggiori sono gli squilibri, maggiori saranno i rischi per il contribuente tedesco nel momento in cui un paese con un debito target elevato esce dall'unione monetaria. Presto dovremo essere grati agli italiani solo per il fatto di voler restare nell'unione monetaria. No, seriamente. Lasciarsi ricattare dai paesi con saldi Target negativi sarebbe la cosa piu' stupida che possiamo fare.

DWN: considerando gli squilibri interni, pensa che l'Euro sia in grado di sopravvivere? Quale prezzo deve pagare la Germania per garantirne la sopravvivenza?

Mayer: nella sua forma attuale non considero l'Euro in grado di sopravvivere. Quanto piu' a lungo restiamo attaccati a questo modello, tanto piu' alti saranno i trasferimenti che il contribuente tedesco dovrà pagare agli altri paesi della zona Euro.

DWN: il denaro utilizzato, sia in maniera diretta che indiretta, per il salvataggio dell'Euro, impegna risorse che potrebbero essere necessarie ad esempio nelle infrastrutture oppure nell'educazione?

Mayer: provi ad immaginare la Bundesbank che crea un fondo sovrano tedesco, con una dotazione di 800 miliardi di Euro di risparmi tedeschi investiti in una sola classe di investimenti (principalmente banche europee del sud) a tasso zero (la remunerazione dei saldi Target attuale). Sarebbe il peggior fondo sovrano di tutti i tempi. Il fondo sovrano norvegese ha una grandezza simile e dalla sua fondazione ha ottenuto un rendimento del 5.5 % annuo. Se avessimo investito il nostro patrimonio estero impegnato nel sistema Target come hanno fatto i norvegesi avremmo 44 miliardi di euro di redditi aggiuntivi ogni anno.

DWN: quali sono le conseguenze di lungo periodo di un Euro debole e di una messa in comune del debito sulla competitività dell'UE nel suo complesso, con riferimento alle altre economie come gli Stati Uniti e la Cina.

Mayer: io credo che l'Eurozona stia diventando una grande Italia: poca crescita, moneta debole, inflazione crescente, competitività in declino e instabilità politica. Perché? Anche l'Italia è una zona economica molto eterogena che ha sempre avuto problemi con una moneta unica. Basta guardare all'Italia per vedere in quale direzione sta andando l'unione monetaria.

DWN: è possibile riformare la moneta unica, e se si', come e a quali condizioni?

Mayer: bisogna tornare alle concezioni alternative precedenti alla creazione della moneta unica, come ad esempio una moneta parallela europea, regionale oppure nazionale. Il concetto di moneta unica ha fallito. Forse potrebbe funzionare con una moneta comune da utilizzare su base volontaria, quando e come si vuole.

DWN: quanto tempo ha ancora la politica per affrontare i problemi derivanti dalla costruzione dell'Euro?

Mayer: il tempo passa, perchè l'insoddisfazione degli elettori per la moneta unica è in costante aumento. Presumibilmente quest'anno la sig.ra Le Pen non sarà eletta presidente francese e Beppe Grillo non diventerà primo ministro. Ma il tempo lavora per loro. Chi lo sa, magari nel 2021 discuteremo delle chance di Frauke Petry di diventare Cancelliere tedesco.

DWN: in passato non c'era forse la possibilità di raggiungere questo obiettivo pagando un prezzo inferiore dal punto di vista economico e politico?

Mayer: i requisiti di integrazione richiesti dalla moneta unica andavano semplicemente oltre la volontà di integrazione dei popoli europei. Per una lunga fase le elite hanno trascinato i loro elettori verso una maggiore integrazione. Ora gli elettori si stanno ribellando. Progetti di integrazione piu' modesti con requisiti di integrazione inferiori, come ad esempio il mercato comune, hanno avuto molto piu' successo. Per l'Euro significa che sarebbe stato meglio se fosse stato concepito come moneta comune invece che come moneta unica. In quel caso sarebbe stato il mercato a definire la sua capacità di affemarsi.

DWN: è pensabile che i problemi derivanti dall'Euro prima o poi si possano risolvere da soli se in futuro una Cancelliera Merkel o un Cancelliere Schulz continueranno a stare a guardare?

Mayer: no, in questo caso stare a guardare serve solo a peggiorare le cose. Ma io mi aspetto che né una Cancelliera Merkel né un Cancelliere Schulz possano trovare il coraggio di scongiurare il crollo dell'Euro attraverso una ricostruzione tempestiva.

DWN: nella sua forma attuale l'Euro è un pericolo per la sopravvivenza dell'UE?

Mayer: sicuramente, l'UE è stata promossa con l'obiettivo di assicurare la pace, la libertà, la democrazia e lo stato di diritto in Europa. L'Euro dovrebbe essere un mezzo per raggiungere lo stesso obiettivo. Da strumento l'Euro si è trasformato invece in qualcosa di fine a se stesso. Per mantenere l'Euro bisogna necessariamente prendere in considerazione la possibilità che in Europa possano esserci forti tensioni, che la libertà e la democrazia possano essere limitate dalle regole dei burocrati e che lo stato di diritto sia messo in dubbio dalla continua violazione delle regole. Dovremo rispondere di questo ai nostri figli e ai nostri nipoti. 

martedì 4 ottobre 2016

Fiaski tedeschi

Der Spiegel sull'ascesa e il declino di una banca che voleva conquistare il mondo e che invece rischia di affondare per le cause legali e per i troppi rischi. Da spiegel.de

I peccati del passato hanno raggiunto Deutsche Bank, ora la banca deve preoccuparsi per il suo futuro. Come un rispettato istituto di credito si è trasformato prima in una centrale del gioco d'azzardo e poi in un cumulo di macerie.

Era il 1989, l'anno che ha cambiato non solo il destino della Germania, ma anche quello di Deutsche Bank. Al vertice della prestigiosa banca c'era Alfred Herrhausen. Un manager brillante e carismatico che si immischiava volentieri nelle grandi discussioni politiche e sociali del tempo. Lo stesso Kohl si faceva consigliare dal manager.

Herrhausen ha per Deutsche Bank una grande visione: deve diventare internazionale e scrollarsi di dosso la reputazione di banca burocratica e polverosa. Fra i tradizionalisti della banca incontra pero' poco entusiasmo. Nelle torri di Francoforte si mormora. 

Herrhausen non è uno sciocco. Insieme ai consulenti d'impresa di McKinsey e a Roland Berger ha sviluppato un nuovo concetto di business per l'ingresso nell'investment banking. Con i libretti di risparmio e le tradizionali attività di prestito non si guadagnano abbastanza soldi. D'ora in poi la banca dovrà entrare nel business delle grandi acquisizioni e nel trading sui mercati azionari mondiali. "Quello che noi ammiriamo e che non possediamo è la cultura degli affari anglosassone", diceva Herrhausen. Il 27 novembre 1989 Deutsche Bank annuncia l'acquisizione della banca britannica Morgan Grenfell per 2.7 miliardi di Marchi. Tre giorni più' tardi Herrhausen muore in seguito ad un attentato della RAF mentre stava andando ad una riunione del board.

Con l'acquisizione di Morgan Grenfell inizia per Deutsche Bank un conflitto culturale che sarebbe durato per decenni. Fra i banchieri conservatori di Francoforte, gli affaristi anglosassoni non sono molto popolari. Molti non capiscono nemmeno la loro lingua. E con i nuovi arrivati, arriva anche il primo scandalo. Un giovane manager ha giocato d'azzardo. La banca deve risarcire i clienti. 

I successori di Herrhausen, Hilmar Kopper e Rolf Breuer, portano avanti il nuovo corso. Nel 1995 Kopper porta a Deutsche Bank una stella: Edson Mitchell arriva dalla banca americana Merrill Lynch - e porta con sé un'intera squadra di 50 trader. Fra loro un giovane indiano, Anshu Jain, che già allora era considerato un giovane talento. Mitchell assume la direzione del reparto commerciale di Deutsche Bank nel vecchio edificio di Morgan-Grenfell a Londra. Come si diceva allora, guadagna piu' soldi lui di tutto il consiglio di amministrazione. 

Kopper e Breuer vogliono di più' pero': vogliono andare a New York - nel cuore del nuovo capitalismo finanziario. Nel 1999 raggiungono l'obiettivo. Deutsche Bank acquista per 17 miliardi di marchi la banca di investimento statunitense Bankers Trust. Un prezzo alto per una banca che nel giro di Wall Street è conosciuta come una "centro per il gioco d'azzardo".

Per Deutsche Bank inizia una nuova era. La metà dei quasi 100.000 dipendenti ora lavora all'estero. Il 4 di giugno la banca festeggia l'acquisizione davanti alle torri della sede di Francoforte con lo sloglan "Let's go global". "Pirotecnici americani hanno lanciato verso il cielo razzi di coriandoli, la birra americana Miller è finita alla svelta", raccontava Der Spiegel - e cita un investment banker, soddisfatto per il nuovo equilibrio di potere nel board: "ora siamo in maggioranza".

Deutsche Bank è ora la più' grande del mondo. Il suo bilancio ha raggiunto quasi 900 miliardi di Euro.

Nel 2000, l'anno dopo l'acquisizione, registra un utile di quasi 5 miliardi di Euro. Circa la metà arriva dall'investment banking, divisione guidata da uno svizzero emergente: Josef Ackermann.

Nel 1998 ha fatto un patto con Edson Mitchell, il leader dei banchieri di investimento, e si è cosi' assicurato il sostegno della principale divisione del gruppo. O almeno cosi' scrive il giornalista Georg Meck nel suo libro "The Deutsche: Investment banker an der Macht". Meck cita Ackermann: "ho dato agli investment banker la sensazione di essere a casa in Deutsche Bank".

Nel 2002 Ackermann diventa CEO - con l'aiuto degli investment banker. Porta avanti l'espansione della banca e nel 2007 Ackerman batte tutti i record. Nel 2007 è all'apice: durante la conferenza stampa annuale presenta orgoglioso un utile di oltre sei miliardi di Euro. Oltre il 70% arriva dall'investment banking, di cui nel frattempo Anshu Jain è diventato il capo.

Jain è considerato un genio. Soprattutto nelle vendite e nel trading è difficile battere Deutsche Bank. Nessun'altra banca al mondo tratta ogni giorno cosi' tante obbligazioni e valuta. Ma anche nella negoziazione dei titoli ipotecari statunitensi, Deutsche Bank brilla. Da lontano si sentono già i primi tuoni della tempesta in arrivo, la più' grande crisi finanziaria di tutti i tempi. Ma a quanto pare il CEO Ackermann non ha sentito nulla. "Per l'economia globale e per il settore finanziario ho delle buone sensazioni", diceva allora.

Puo' anche essere che i buoni presentimenti arrivassero dal suo portafoglio. Con l'investment banking anglosassone si è diffusa anche la cultura dei bonus. Gli stipendi sono cresciuti rapidamente. Nel 2006 Ackermann incassa piu' di 13 milioni di Euro. Per fare un confronto: nel 1988 l'intero board composto da 12 consiglieri riceveva 14.8 milioni -  e allora erano ancora D-Mark.

Nel maggio 2007 il prezzo delle azioni della banca tedesca raggiunge il massimo di 102 € . Da li' inizia la discesa.

Negli Stati Uniti crolla il mercato immobiliare. In estate in Germania le prime banche iniziano a tremare. La piccola banca di Duesseldorf IKB deve essere salvata dal collasso. Aveva acquistato in massa titoli ipotecari americani - tra gli altri anche da Deutsche Bank. Tuttavia Ackermann vuole passare come un gestore della crisi. Durante una riunione del settore finanziario a Francoforte il presidente delle Sparkassen Heinrich Haasis è alquanto irritato. Si chiede perché a consigliare sulle misure antincendio sia stato messo "chi fino ad ora ha raccolto la legna da ardere guadagnandoci un bel po' di soldi".

Anche Deutsche Bank viene tuttavia colpita dalla crisi. Ma apparentemente è uno dei pochi istituti ad attraversare la tempesta senza danni particolari. Mentre molte banche sono state salvate dalla rovina, Ackermann si permetteva di affermare: "mi vergognerei se per la crisi dovessimo aver bisogno di denaro pubblico", dichiarava a Der Spiegel. Già nel 2009 la banca tedesca raggiungeva quasi 5 miliardi di Euro di utile.

La fattura piu' grande pero' arriva con un po' di ritardo. Dopo aver superato il picco della crisi finanziaria, parte il contrattacco della politica e delle autorità di regolamentazione. Gli errori del passato devono essere espiati. E almeno qualche miliardo speso per salvare le banche deve tornare indietro.

Seguono azioni legali, processi e commissioni di inchiesta per elaborare la crisi. E presto si scopre che Deutsche Bank era ovunque gli affari non fossero puliti. Che si tratti di manipolazione dei tassi di interesse, del corso delle valute o della negoziazione di titoli ipoetacari - Deutsche Bank deve pagare. E che cosa ha imparato?

Nella primavera 2012 Josef Ackermann dopo 10 anni alla guida della banca si ritira. Per la sua successione c'è una rissa. Ackermann avrebbe volentieri come suo successore l'ex presidente di Bundesbank Axel Weber - un uomo che in maniera credibile avrebbe potuto fare pulizia e annunciare un nuovo corso.

Ma Ackermann perde la lotta di potere interna. Invece di Weber sale al vertice Anshu Jain - il geniale giocatore d'azzardo che ha guidato l'investment banking per molti anni e nelle cui aree di responsabilità sono nati quasi tutti gli scandali. 

La banca ha cercato di far passare questa scelta come una mossa brillante. Secondo il motto: solo chi ha smontato la macchina può' essere capace di rimontarla correttamente. Per non compromettere l'immagine pubblica con troppa sfacciataggine, Jain si mette accanto Jürgen Fitschen, un rispettabile banchiere appartenente alla vecchia scuola, molto apprezzato dai clienti, che in seguito parlerà spesso di un cambiamento culturale nella banca. Jain al contrario parlerà principalmente di continuare a giocare con i piu' grandi player del mondo. Come se la crisi finanziaria non ci fosse mai stata.

Il piano non funziona. Affiorano sempre più' scandali, sempre più' vicini a Jain. La banca deve accantonare solo fra il 2012 e il 2015 più' di 12.7 miliardi di Euro per contenziosi legali. I profitti sono divorati dalle sanzioni. La sola cosa a restare alta sono gli stipendi. 

Nell'assemblea del 2015 gli azionisti piu' potenti prendono le distanze da Jain. Poche settimane piu' tardi Jain si dimette. Il fossato fra la sede centrale di Francoforte e le banche di investimento a Londra e New York è profondo come mai fino ad ora.

Il successore di Jain è Joh Cryan, un britannico, roccioso, che finalmente dovrebbe fare pulizia. E la sta facendo. Secondo alcuni anche un po' troppo. Cryan si è lamentato per le condizioni della banca, per il sistema IT scadente e per i bonus alti. Ha fatto svalutare rami di azienda che in bilancio avevano un valore troppo alto - fra questi Bankers Trust. Il risultato è stato una perdita di 6.8 miliardi di Euro - la più' alta nei 145 anni di storia di Deutsche Bank.

Cryan sta lottando. Ha ereditato un mucchio di rovine - e fino ad ora non ha presentato un piano convincente per poterle trasformare in una banca.